Il Rimuginio è un processo di pensiero utilizzato di frequente da chi soffre di disturbi d’ansia anche se, in piccole dosi, vi fanno ricorso anche le persone che non manifestano particolari problematiche psicologiche.
A chi non è mai capitato di trovarsi assorto nell’anticipare gli esiti di alcuni eventi che ancora non si sono verificati e che forse non si verificheranno mai?
Tali eventi possono riguardare catastrofi naturali, disgrazie economiche, la perdita di una persona cara, ma anche altre situazioni di vita indubbiamente meno drammatiche che però potrebbero in qualche modo metterci in difficoltà.
Perché rimuginiamo?
Tendenzialmente, il motivo per cui le persone reputano utile preoccuparsi di futuri eventi negativi più o meno probabili, riguarda la loro percezione circa la probabilità di poter in qualche modo prevenire o scongiurare il verificarsi di tali eventi o, qualora la prevenzione non sia possibile, di potersi preparare ad affrontare l’imminente catastrofe.
Il principio che sta alla base di questo ragionamento, purtroppo errato, è che il semplice ipotizzare eventuali scenari ed immaginare il loro dipanarsi nel corso del tempo abbia un qualche potere nel rendere più o meno probabili quegli stessi scenari oppure che l’immaginare il proprio stato d’animo conseguente al verificarsi di quello scenario, possa renderci maggiormente in grado di affrontarlo nella realtà.
In termini tecnici, queste assunzioni vengono definite da Adrian Wells, un noto psicologo che da tempo si occupa dei processi rimuginativi, “meta-credenze positive circa il rimuginio”.
Che cos’è il rimuginio?
Contrariamente a ciò che le nostre meta-credenze positive ci portano a pensare, il rimuginio è in realtà una tipologia di pensiero negativo, ciclico e ricorrente.
Esso è negativo poiché si concentra strettamente su scenari negativi e catastrofici, ciclico e ricorrente poiché tende a ripetersi senza tuttavia fornire all’individuo nessun piano d’azione.
Il Rimuginio è infatti un tipo di ragionamento molto vago ed astratto e, sebbene renda possibile immaginare con dovizia di particolari uno scenario temuto, esso di fatto non fornisce alcuna soluzione utile per prevenirlo o risolverlo.
Facciamo un esempio: pensiamo ad uno studente che a due settimane da un importante esame, inizia a preoccuparsi di non riuscire a superare la prova.
Lo studente comincerà a rimuginare su questa ipotesi e, in linea con l’importanza che quell’esame ha in relazione alla sua carriera universitaria, formulerà i seguenti pensieri: “Se fallirò all’esame starò malissimo!”, “Non riuscirò più a riprendermi”, “Tutti mi giudicheranno come un buono a nulla”, “Sarò talmente disperato che non potrò concentrarmi sulle altre materie”, “Non riuscirò a finire l’università”, “Non potrò fare il lavoro per cui ho così duramente lavorato fino ad ora”, “Sarà la mia rovina!”.
Tali pensieri potranno poi essere accompagnati anche da immagini più o meno elaborate del volto deluso del professore durante la prova, di sé stesso a distanza di anni, rannicchiato in un angolo a soffrire per tutto ciò che è stato perduto e chi più ne ha più ne metta.
L’elenco dei pensieri rimuginativi e delle immagini mentali associate potrebbe proseguire all’infinito e, tutti quanti, manterrebbero le stesse implicite caratteristiche di negatività e di assenza della formulazione di strategie utili alla prevenzione o al fronteggiamento della situazione immaginata.
Il rimuginio come processo dannoso
Oltre ad essere del tutto inutile, il rimuginio può rivelarsi oltretutto dannoso poiché, di fatto, blocca l’accesso a strategie più utili e funzionali al fronteggiamento della situazione temuta.
Torniamo un attimo all’esempio del nostro studente. Egli, con buona probabilità passerà ore ed ore ad immaginare tutti i possibili scenari catastrofici conseguenti alla sua bocciatura convinto che questo possa essergli in qualche modo utile.
Quelle stesse ore però verranno di fatto sottratte al tempo utile che lo studente ha ancora per prepararsi al suo esame aumentando, in ultima analisi, il rischio che la prova non venga di fatto superata.
Non solo, concentrandosi unicamente sugli esiti negativi dell’evento, l’ansia anticipatoria associata ad esso tenderà inevitabilmente ad aumentare, inficiando la concentrazione e la motivazione verso quella sfida.
Il circolo vizioso
Nel momento in cui il nostro studente si renderà conto che rimuginando nel tentativo di ridurre la propria ansia e rendersi più preparato ha di fatto perso molto tempo prezioso ed aumentato il proprio stato di allerta, sarà ancora più spaventato e, con buona probabilità, cercherà in tutti i modi di smettere di rimuginare.
A questo punto egli si imporrà di non pensare a tutte quelle fastidiose immagini ottenendo però il risultato esattamente opposto. Più tenterà di controllare la propria mente scacciando i pensieri rimuginativi, più quelli stessi pensieri diventeranno invadenti ed intrusivi.
Provate voi stessi: mentre siete seduti a leggere questo articolo ripetetevi intensamente di non pensare ad un pinguino che cammina tranquillo in mezzo alla neve.
Qual è il risultato? Non è affatto facile rimanere concentrati sul testo, vero?
Questo accade perché, nel momento in cui imponete al vostro cervello di non prestare attenzione ad un determinato stimolo, gli state di fatto fornendo implicitamente quello stesso stimolo e lui non potrà fare a meno di portarlo alla vostra coscienza.
La stessa cosa accade nel momento in cui ci imponiamo di scacciare i pensieri rimuginativi: quei pensieri diventeranno di fatto più vividi finendo per interferire ancora di più con le nostre attività.
È attraverso questo meccanismo che, a seguito dell’attivazione delle meta-credenze positive circa il rimuginio, si attivano delle credenze totalmente opposte, relative alla pericolosità ed all’incontrollabilità del processo rimuginativo. Tali credenze, definite da Wells “meta-credenze negative sul rimuginio” non fanno altro che incentivare i tentativi di controllo del pensiero, finendo in ultima analisi per incrementare ancor più la loro presenza e facendoci cadere vittime di un vero e proprio circolo vizioso.
Come uscire dalla trappola?
Sebbene il rimuginio sia una modalità di pensiero piuttosto frequente, fortunatamente, non tutte le persone la utilizzano con un’intensità tale da renderla dannosa o da impedire una buona qualità di vita.
Non è purtroppo così per coloro che soffrono di particolari disturbi come, ad esempio, il disturbo ossessivo-compulsivo ed i disturbi d’ansia, tra cui, per frequenza di utilizzo del pensiero rimuginativo, spicca il disturbo d’ansia generalizzato. In questa particolare condizione, infatti, il nodo centrale del problema sta proprio nel ricorso costante a strategie disfunzionali di anticipazione di eventuali eventi negativi o catastrofici che, sulle lunghe distanze, portano chi ne soffre a vivere in uno stato di allarme costante da cui sembra impossibile trovare una via d’uscita.
Per il disturbo d’ansia generalizzato, così come per le altre condizioni associate a marcati processi rimuginativi, è invece possibile svolgere un tipo di intervento in grado di ridurre tali meccanismi fornendo contemporaneamente nuovi metodi, più funzionali, per approcciarsi tanto ai problemi reali quanto alle catastrofi immaginate. Questa tipologia di intervento, inizialmente formulata e proposta da Adrian Wells, è chiamata “terapia metacognitiva”. Essa si basa proprio sull’individuazione e sulla successiva modificazione delle meta-credenze positive e di quelle negative coinvolte nella genesi e nel mantenimento dei processi rimuginativi.
Wells, A. (2012). Terapia metacognitiva dei disturbi d’ansia e della depressione. Eclipsi.